Audizione Associazione APIDGE,
Commissione Cultura Montecitorio, Roma 15 settembre 2016
Audizione Maria Giovanna Musone
Gentile Presidente e gentili Onorevoli,
ringrazio innanzitutto per l’invito rivoltomi, spero di fornire un piccolo contributo alla definizione di un progetto di legge che si propone di incamminare la scuola verso nuovi, coinvolgenti e sempre più attuali versanti didattici. Insegno discipline giuridiche ed economiche presso il Liceo Classico
Massimo D’Azeglio di Torino, oltre ad esercitare la professione di avvocato, nella quale ho scelto di dedicarmi quasi esclusivamente a casi di violenza di genere, verso donne e minori vittime di violenza, stalking, bullismo e cyberbullismo, aree di illegalità drammaticamente diffuse specie tra gli adolescenti, nelle quali il vuoto o l’incertezza normativa da un lato e la non conoscenza del concetto di “reato” da parte di chi ne commette, sono terreno fertile per la progressiva
esponenziale crescita di queste già diffuse forme di violenza. Rappresento in questa sede l’Apidge, quale responsabile del suo Dipartimento legale e culturale, un’associazione nata con lo scopo di promuovere ogni possibile azione finalizzata al riconoscimento della specificità delle discipline giuridiche nell’istruzione e formazione professionale in Italia e nell’Unione Europea e alla
valorizzazione delle professionalità dei docenti di tali discipline. Colgo l’occasione per portarvi i saluti della mia Dirigente Scolastica, Chiara Alpestre e del presidente di Apidge, Ezio Sina.
L’A.C. nr. 1230 sull’ “Introduzione dell’educazione di genere nelle attività didattiche delle scuole del sistema nazionale di istruzione” mi sembra un ottimo punto di partenza per rafforzare nella scuola la cultura del rispetto per il prossimo, sensibilizzare ed educare contro la discriminazioneverso ogni forma di “diversità”. Questo fenomeno ha assunto oggi i connotati di una vera e propria emergenza sociale, ne sono palese riprova i sempre più frequenti casi di violenza fisica e verbale che sfociano persino nell’omicidio preterintenzionale o nell’istigazione al suicidio.
Apprezziamo e sosteniamo pertanto una riforma dell’ordinamento scolastico che educhi le future generazioni a ritenere la diversità come ricchezza, unico modo per prevenire fenomeni di violenza,
capaci di manifestarsi nelle forme più diverse e aberranti, ma tutte accomunate da un comune denominatore, l’offesa e la mortificazione di ciò che diverge dai supposti canoni prevalenti.
Il contributo che l’Apidge si propone di offrire nella fase embrionale di questo progetto di legge, e che attiene agli istituti di 1° e 2° grado, riguarda pertanto specifici aspetti, suscettibili a nostro avviso di maggior approfondimento e riflessione, nell’ottica di realizzare efficacemente gli obiettivi prefissati.
In particolare, gli artt. 1 e 2 dell’ A.C. 1230 prevedono che l’educazione di genere non sia materia curriculare a sé stante, ma un’attività da svolgersi come integrazione con altre materie già presentinel piano di formazione. Un’area interdisciplinare, dunque, senza contorni meglio definiti, che dovrebbe permeare l’intera offerta didattica, il cui concreto svolgimento sarebbe appannaggio di vari docenti di diverse discipline.
E’ fuori discussione che l’educazione di genere, con i suoi richiami giuridici e il suo impatto sociale, abbia un potenziale didattico di ampio respiro. Proprio per questa ragione, riteniamo tuttavia che la sua efficace introduzione nel complesso dell’offerta scolastica non andrebbe subordinata al grado di sensibilità dei singoli docenti, o persino dei dirigenti, verso gli argomenti sopra citati, alla disponibilità di tempo, all’approccio verso un’area educativa ancora da scandagliare nei suoi contenuti didattici, che rischierebbe di interpretarsi alla stregua di “branca” o “appendice” della materia di cui il docente è titolare. L’interdisciplinarietà di cui il progetto di legge fa cenno, a nostro avviso è più da intendersi come necessità che i docenti, di qualsiasi disciplina, colgano tutte le opportunità offerte dallo svolgimento del proprio programma per fare opera di educazione e sensibilizzazione, ma è innegabile che l’educazione di genere, per la vastità degli argomenti affrontati e la loro stringente attualità, sia meritevole di essere riconosciuta come materia a sé stante, con una propria cattedra e un proprio monte ore.
Riflettiamo un attimo, allora, su cosa sia la parità di genere che si intende insegnare. Secondo noi è nient’altro che l’educazione alla cultura di uguaglianza e non discriminazione sancita in tutta la prima parte della Costituzione, in tutti i principi che riconducono ai variegati aspetti del diritto all’integrità personale. L’educazione di genere, in altri termini, necessita di una robusta connotazione giuridica. Il contenuto della materia che si intende introdurre è principalmente giuridico, così come ci sembra innegabile che il suo insegnamento resterebbe parziale senza l’introduzione dell’aspetto del reato, parallelamente a quello educativo. La mia recente intensa attività presso il foro di Torino, su casi di violenza di genere presso le scuole superiori, lascia spazio
a una constatazione di fondo: gli adolescenti, in questo non aiutati dal contesto ambientale e familiare, spesso ignorano le possibili conseguenze della violenza perpetrata, non solo sulla psiche delle vittime, ma anche per se stessi; in altri termini, ignorano di commettere reati passibili di condanna, anche grave. Conoscenza delle fattispecie di reato, beninteso, non come aspetto meramente nozionistico, ma come ulteriore deterrente a non commetterne. Un indottrinamento specifico e non sporadico sui concetti di uguaglianza e parità di genere ma anche su quello di reato, lesione del diritto e pena, quale conseguenza della violazione, va necessariamente affidato a professionisti della materia, risorse umane – tra l’altro – già in forza nella scuola pubblica italiana, in quanto assunte come docenti di diritto, che certamente non mancheranno di stimolare l’apprendimento del minore svolgendo attività didattiche sempre attive e coinvolgenti.
Mi limito in questa sede, brevemente a ricordare il concetto di pena come sostenuto dalla dottrina e da massimi giuristi, penalisti come Fiandaca-Musco, secondo cui la pena ha le funzioni:
– Retributiva, come il corrispettivo per aver violato un comando dell’ordine giuridico, ed è quindi la riaffermazione del diritto da parte dello Stato;
– General-preventiva, in quanto alla sua efficacia deterrente;
-Special-preventiva, come rieducativa nei confronti del singolo condannato.
Chi, dunque, più di un docente laureato in giurisprudenza, può fornire ai ragazzi solide basi sui concetti essenziali di diritto, che sono precondizione necessaria e imprescindibile per introdurre l’insegnamento dell’educazione di genere? Specifico è il loro bagaglio curriculare, il loro approccio alle tematiche da trattare, la loro sensibilità a canalizzare la vasta tipologia di comportamenti
violenti entro fattispecie delle quali è necessario conoscere anche il corollario della regolamentazione giuridica oltre che le mille implicazioni socio-culturali.
Il progetto di riforma scolastica che sta prendendo forma soddisfa profondamente nelle sue intenzioni, poiché capace di cogliere un aspetto importante dell’evoluzione della società e della nuova domanda formativa. L’Apidge ritiene tuttavia, in definitiva, che l’educazione di genere:
a) Debba essere una materia a sé stante, con un proprio monte ore, e non un’attività interdisciplinare, come corollario di altre materie, col rischio concreto di divenire una branca vaga e dispersiva;
b) Debba avere una connotazione fondamentalmente giuridica, nella quale l’educazione alla cultura del rispetto sia accompagnata dalla conoscenza delle fattispecie di reato;
c) Debba essere affidata a docenti di diritto, il cui percorso formativo e didattico meglio si addice al raggiungimento degli obiettivi educativi e preventivi.
Nel ringraziare ancora e restando disponibile per ulteriori approfondimenti, porgo cordiali saluti.
Roma, 15 settembre 2016
Avv Maria Giovanna Musone, Apidge Cultura
Ottimo
Ritengo un’ottima scelta quella di sottolineare il nesso tra “educazione di genere” e diritto, perché a mio avviso il campo della tutela e della promozione dei “diritti civili” è sicuramente il quadro di riferimento più opportuno per tale tematica. Inoltre, ancorare l’educazione di genere alla disciplina giuridica consente un approccio pragmatico ed efficace, utile ad un solido sviluppo delle competenze di cittadinanza.
Solo una notazione: anche a seguito delle polemiche (assurde e infondate, ma purtroppo molto diffuse) sulla c.d. “educazione gender”, temo che il riferimento alla educazione di genere rischi di suscitare incomprensioni e ostilità in alcuni genitori. Non sarebbe più opportuno parlare di “educazione alla non-discriminazione”? In questo modo, si potrebbero bypassare le incomprensioni e si fonderebbe la tematica sul solido fondamento giuridico della non discriminazione, principio che, peraltro, consentirebbe di ampliare la tematica a tutte le possibili forme di esclusione e denigrazione di qualsiasi “diversità”.
Cordiali saluti,
L.C.