Tutela del minore tra diritto alla riservatezza e dovere di vigilanza

L’autonomia scolastica non solo non risulta essere stata propositiva, ma neppure ha saputo fornire risposte, soluzioni e garanzie proporzionate alle sue potenzialità sul versante del contemperamento dei contrapposti interessi tra il diritto alla riservatezza del minore ed il dovere di vigilanza che fa capo ai docenti.

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Il passaggio dal “testo al touch” ovvero dalla ”carta al bit” viene vissuto come un fenomeno che coinvolge solo alcune discipline ovvero determinati contenuti, e tale criticità non passa nell’indifferenza agli occhi degli alunni, che ricevono messaggi fuorvianti e contraddittori. A fronte della formazione sulle nuove tecnologie a macchia di leopardo, i netizen sono connessi h24 e i genitori sono impossibilitati a monitorare i dispositivi mobili dei propri figli. Con rapidi cenni ad alcune norme – non vuole essere questa una trattazione processualcivilistica /penalistica che richiederebbe altri spazi – vengono prospettate nuove frontiere per un cambio paradigmatico, negli organi collegiali della scuola e negli assetti organizzativi, attinenti alla libertà di insegnamento e al diritto all’utilizzo attivo e consapevole di Internet.

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L’utilizzo di internet e della quantità di connessione mobile negli ultimi tempi si è sviluppato in modo esponenziale, comportando un parallelo decremento di quella domestica; pertanto sempre più i ragazzi sono sottratti alla vigilanza dei genitori e per questi ultimi risulta impossibile, allo stato, dotare smartphone, tablet, netbook, iPad ed ogni altro dispositivo mobile di tutte quelle misure di controllo (c.d. parental control) agevolmente adottabili sul pc di casa, come il tracciamento della cronologia nelle impostazioni del browser, l’impostazione di filtri ovvero il controllo dell’hard-disk ed altro ancora.

 Smartphone with cloud of application icons

Tralasciando gli ambienti e le dinamiche familiari, le nuove tecnologie hanno dotato ogni alunno di una connessione individuale al web: al mattino si recano a scuola, oggi, non tanto con zaino, libri e quaderni, ombrello ed occhiali, ma soprattutto con il bagaglio del proprio mondo-internet fatto di contatti, community, app, alert, repository di messaggistica, foto, video stratificati nel tempo e testimonianti se stessi e la propria storia, pronti a rimpinguare, senza soluzione di continuità, del vissuto quotidiano sia le memorie fisiche che il cloud. Percorrono le stesse strade, frequentano gli stessi quartieri e la stessa scuola, prendono lo stesso tram, ma sono sempre anche con un piede di là, altrove, per vivere la seconda loro presenzialità, espressa con i nuovi linguaggi, iconico, acronimico, con funzioni semantiche e pragmatiche “ristrette” alla simbologia sintetica offerta dall’interfaccia sw ed hw in dotazione allo smartphone.

Il dispositivo mobile non è un dettaglio, un mero accessorio aggiuntivo!

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La scuola, in tutte le sue articolazioni, non sembra essersene accorta, o meglio, di fatto continua a non prendere in carico in modo strutturato tale oceanica massa di ragazzi “col capo chino” sul display, generazione che esiste  (forse di più) nel mondo dei bit, generazione che conosce delle condizioni meteo non alzando più gli occhi al cielo, non scrutando più l’orizzonte, bensì con qualche touch sull’app di riferimento. Se si ha voglia di scendere nel dettaglio dei dati, si può consultare il 13° Rapporto Eurispes – Telefono Azzurro, inesorabile indagine nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza svolta nel 2012, la cui ricerca si è concentrata soprattutto sull’utilizzo dei media, pur se non recentissimo, offre tutti i profili dei rischi cui risultano esposti bambini, adolescenti e ragazzi – dai 7 ai 18 anni – su internet, non escluso quello di nuove dipendenze, la pressoché illimitata libertà di scegliere dove, come, con chi e quando navigare, i discutibili, banali, improvvisati controlli a singhiozzo delle agenzie educative, la percezione dell’effettivo divario generazionale che si atteggia non tanto come gap tecnologico in senso stretto, bensì come percezione dell’incapacità di genitori e docenti di gestire una situazione ormai fuori controllo e nella antinomica considerazione del concetto di “privacy”.

È agevolmente intuibile come, dal 2012 ad oggi, la situazione complessiva possa essere solo aggravata! Offre spunti interessanti di riflessione comparativa la relazione sull’alfabetizzazione mediatica dei bambini e ragazzi – dai 3 ai 15 anni – pubblicata nell’ottobre 2014 in Gran Bretagna dall’Authority nel settore della concorrenza e delle comunicazioni del Regno Unito (OFCOM),  esponendo sull’uso dei vecchi e nuovi media, sugli atteggiamenti e la conoscenza dei rischi di internet nonché le opinioni dei genitori sull’utilizzo dei dispositivi dei loro figli nonché le modalità che adottano per gestire ovvero limitare l’impiego dei diversi tipi di media.

Chi lascerebbe andare da solo in giro un minore? Chi lascerebbe un ragazzo con sostanze che creano dipendenza a portata di mano? Ma la touch-generation è già migrante e già dipendente!

Il problema è posto, ma…da un ventennio ormai Organismi internazionali hanno iniziato a muoversi a vario titolo studiando i problemi e sollecitando i Governi locali a redigere policy e predisporre sistemi di governance. Dei minori si è occupato già dal 1998 il Consiglio dell’Unione europea, con l’emanazione di una Raccomandazione “concernente lo sviluppo della competitività dell’industria dei servizi audiovisivi e d’informazione europei attraverso la promozione di strutture nazionali volte a raggiungere un livello comparabile e efficace di tutela dei minori e della dignità umana” che ha svolto un’importante funzione di orientamento per i governi locali. Il Parlamento europeo (deputata francese Marielle de Sarnez, relatrice del provvedimento) rivolse all’Unione una proposta di raccomandazione al fine di rendere più sicura la navigazione su internet dei minori, sia mediante misure che li difendano da contenuti non adatti, che mediante l’istituzione di un dominio apposito (.kid), ed infine mediante l’istituzione di un numero verde europeo per avere informazioni appropriate.

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E in Italia come stanno le cose? Quali sono state le iniziative istituzionali, le misure ministeriali e quelle fornite dall’autonomia scolastica per la governance del problema?

Vi sono stati dei pregevoli tentativi:

– ci si aspettava tanto dal (fallito tentativo del) Codice “Internet e Minori”, che poteva rappresentare un esempio di buona pratica sul versante dell’autoregolamentazione anche per le istituzioni scolastiche, sottoscritto il 19 novembre 2003 dall’Associazione Italiana Internet Provider – AIIP, dall’Associazione per la Convergenza dei Servizi di Comunicazione – AnFoV, dall’Associazione Provider Indipendenti – Assoprovider, dalla Federazione delle Imprese delle Comunicazioni e dell’Informatica – Federcomin., dal Ministero delle Comunicazioni e dal Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie. Scritto sulla traccia di quello dedicato alla tv e ai minori, purtroppo ha mostrato subito alcune criticità, come la previsione di una navigazione differenziata, nonché lacune macroscopiche, come quella sull’utilizzo dei dati dei minori raccolti on line, strumenti di difesa del minore dallo spamming ovvero dalle informazioni indesiderate dell’e-commerce, la tutela dalla forma giuridica di certe dichiarazioni on line (contratti c.d. point and click).

– ci si aspettava altro apporto anche dal Codice di autoregolamentazione per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, in consultazione dal gennaio 2014. Concordato tra rappresentanti delle Istituzioni (Mise, Agcom, Polizia postale e delle comunicazioni, Direzione Centrale della Polizia Criminale, Autorità per la privacy, Garante per l’infanzia e Comitato media e minori), delle Associazioni (Confindustria digitale, Assoprovider ecc.), degli operatori (Google, Microsoft ecc.) e presieduto dal Vice Ministro dello Sviluppo economico Antonio Catricalà.

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Generazione a km 0

Si parla già da anni di “scuola senza zaino” ovvero di scuola book-free, di nativi digitali con accezione esclusivamente positiva, ma nel frattempo i netizen scorrazzano nel loro campo libero: sono alunni, consumatori, amici, nemici, agiscono da soli e fanno gruppo non muovendosi dalla stessa sedia; viceversa i “migranti digitali”, ossia coloro che non sono nati nell’epoca dei bit, pur avendo in astratto minor propensione tecnologica, risultano avere maggior consapevolezza del potenziale internet.

Orbene, la scuola dell’autonomia quali scelte effettua, fin dove si è spinta nel darsi delle regole sull’utilizzo dei dispositivi mobili all’interno delle istituzioni scolastiche?

Compiendo una semplice ricerca sul web delle centinaia di regolamenti scolastici, ci si può rendere conto che non emergono posizioni diverse più di tanto, pur se alcune orlate da qualche disposizione bizzarra; norme che dovrebbero garantire studenti, in particolar modo minori, docenti e genitori durante il tempo-scuola:

  • “È vietato tenere acceso il cellulare durante le attività didattiche; l’utilizzo è consentito solo per un utilizzo didattico concordato con l’insegnante (es.: acquisizione di documentazione durante un’attività di laboratorio). Il docente che rileva l’infrazione si farà consegnare il cellulare (o altro dispositivo elettronico indebitamente usato durante le attività didattiche) e lo metterà in una busta chiusa in Segreteria contrassegnandola sul sigillo di chiusura con una firma del personale di segreteria) e una dello studente; ciò garantirà la riservatezza dei dati contenuti nel dispositivo fino al ritiro dello strumento da parte di un genitore”.
  • “USO DEI CELLULARI E VIDEOFONINI A SCUOLA: durante le ore di lezione i cellulari e i videofonini devono essere tenuti rigorosamente spenti, per evitare di interferire con lo svolgimento dell’attività didattica, nonché per il rispetto della normativa vigente in tema di privacy. Sono severamente punite tutte le azioni di hackeraggio che mirino a carpire/falsificare/alterare informazioni relative a dati sensibili contenuti nei registri elettronici. L’istituto non risponde di beni e oggetti lasciati incustoditi”.
  • “È vietato: l’uso del cellulare in classe; diffondere via web filmati, registrazioni audio, fotografie digitali riguardanti studenti, docenti e persone che operano all’interno della comunità scolastica, senza la preventiva autorizzazione degli interessati (Legge sulla privacy). L’inosservanza di tali obblighi espone gli studenti, o chi compia queste operazioni nella scuola, alle sanzioni previste dalla legge (pagamento da 3 a 18 mila euro, ovvero da 5 a 30 mila euro nei casi più gravi e a provvedimenti disciplinari).
  • “Uso del telefono cellulare e di altri dispositivi elettronici. Salvo casi eccezionali di assoluta gravità, necessità e urgenza, previa autorizzazione, nei quali, comunque, l’uso deve avvenire al di fuori dell’aula, e per il tempo strettamente necessario, più breve possibile, è assolutamente vietato tenere accesi e utilizzare, in tutte le ore scolastiche, i cellulari e/o altri dispositivi elettronici da parte degli studenti. Tale divieto deve essere rispettato sia in classe, durante lo svolgimento delle attività didattiche, che in ogni altro ambiente scolastico (atri, corridoi, bagni, palestre, ingressi, zone comuni, ecc.). Ciò in quanto l’uso del cellulare e degli altri dispositivi elettronici, comportando: a) grave elemento di distrazione per chi lo usa, per tutta la classe, e comunque, per i presenti e chi può comunque ascoltare; b) impossibilità, per lo studente, di assolvere assiduamente all’obbligo di attenzione e di studio necessario durante le lezioni; c) possibile, illegittima copiatura e diffusione di dati durante i compiti in classe; costituisce pertanto grave mancanza di rispetto e considerazione per i docenti, i compagni, le persone che lavorano nella Scuola, passibile di applicazione di sanzione disciplinare”.
  • “ART.14 L’uso dei telefonini all’interno della scuola è assolutamente vietato durante le ore di lezione. È concesso telefonare dal proprio apparecchio solo durante l’intervallo fra la terza e la quarta ora. In ogni altro momento il cellulare deve essere spento, in modo che non arrechi disturbo alle lezioni. È vietato anche preparare e inviare SMS. È vietata la ripresa (con macchine fotografiche, videocamere, videofonini) e l’uso di immagini di persone, luoghi e documenti senza l’autorizzazione del D.S.”.
  • “Non è consentito tenere acceso il telefono cellulare nei locali scolastici, effettuare telefonate o inviare messaggi con il medesimo. Nel caso in cui ciò non venga rispettato, il docente può farsi consegnare il cellulare e portarlo al Dirigente Scolastico che avverte immediatamente la famiglia tramite segreteria. I genitori potranno ritirare il cellulare in Presidenza. In caso di necessità effettiva, gli alunni possono comunicare con i familiari tramite il telefono della bidelleria”.

Disposizioni interne di tal genere garantiscono davvero? E chi?

Leggendo, si ha l’impressione di un disimpegno morale, di un collocamento in standby delle coscienze, si percepisce che tali norme interne siano state poste più per blindarsi in un alibi ex tunc – di aver adottato tutte le misure organizzative e disciplinari per evitare danni cagionati da fatti illeciti commessi con l’utilizzo dei dispositivi mobili durante l’orario scolastico – che non per prendere in carico responsabilmente il problema con l’apporto costruttivo di tutte le componenti scolastiche in modo condiviso.

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La fa da padrone il proibizionismo puro e semplice e non pare che abbia sortito grossi effetti, considerato che sono raddoppiate nel 2014 le denunce che vedono il minore come soggetto passivo del reato. Sono in crescita impressionante anche le fattispecie di cyberbullismo in cui il minore è sia soggetto attivo che passivo del reato.

Risulta arduo comprendere quali siano i valori ispiratori dell’azione scolastica, cioè il c.d. curricolo implicito (hidden agenda); come mai la scuola dell’autonomia trovi risposte di tipo esclusivamente sanzionatorio-repressivo alla domanda sociale di formazione sulle nuove tecnologie; quale nuovo ruolo risulta assegnato al docente, visto che gli si chiede di vigilare sui cellulari; se tali previsioni normative stimolino un atteggiamento attivo nei confronti delle stesse; se, conclusivamente, sempre la scuola dell’autonomia, al di là delle roboanti declaratorie posizionate sulla home del proprio sito istituzionale, in concreto ed in modo sistemico, lavori per “competenze”, secondo la definizione contenuta nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, in termini di responsabilità e autonomia

I docenti sono particolarmente attenzionati perché la scuola è il luogo in cui, in particolare il minore non emancipato, deve esser protetto e i problemi conseguenti alla connessione personale di cui è dotato devono trovare composizione nelle sedi deputate, gli organi collegiali, altrimenti si rischia, basta guardarsi intorno, che ogni aula divenga un mondo a sé, una jungla nella jungla. E questa non certo può dirsi “formazione ai nuovi media”.

È una soluzione, viene da chiedersi, la devolution integrale della culpa in vigilando sulle spalle di chi, al momento di un’eventuale commissione di fatto illecito – che può vedere il minore sia come soggetto attivo che passivo del reato – si trovi, magari occasionalmente, docente ovvero collaboratore, ad avere in carico l’allievo? Possibile che la “scuola dell’autonomia” non sia in grado di porre in essere diversi e migliori processi?

Può gravare su una singola persona fisica il peso del continuo destreggiarsi tra dovere di vigilanza e diritto dell’alunno al rispetto della propria sfera di riservatezza? Quali sono oggi gli strumenti, i contributi, anche in termini normativi – senz’altro non sufficienti -, di cui può servirsi la scuola per gestire diversamente la formazione sulle e alle nuove tecnologie, affinché non rimanga principalmente momento addestrativo e spesso affidato a un docente specifico, bensì trasversale a tutte le discipline e ambiti interdisciplinari, analogamente all’educazione alla cittadinanza attiva e consapevole; anzi, si può rilevare un parallelismo tra la prima e la seconda: i futuri lavoratori della neweconomy dovranno avere entrambe le competenze!

apidge bullismo tutelaCi si chiede come possa il docente chiarire agli alunni le fattispecie di un download legittimo; proteggerli dalle esplorazioni selvagge del web; condurre l’acquisizione delle risorse aggiuntive on line dei libri di testo in adozione ovvero utilizzarle quotidianamente senza i cellulari; far comprendere come l’informazione senza alcun controllo moltiplica le notizie false e i contenuti di bassa/dubbia qualità e l’informazione grigia intacca implacabilmente il diritto/dovere di critica, il dibattito e quindi la cultura. I genitori, terminate le attività didattiche, metteranno al riparo i propri figli, nativi digitali, (?!?) dalle derive del web 2.0, espresse magistralmente dal guru americano Janor Lanier nel suo scritto: “You are not a gadget”, come quella che banali lamenti anonimi abbiano lo stesso peso specifico di asserzioni dei premi Nobel? Terminato il coprifuoco scolastico, chi insegnerà ai ragazzi a gestire la sconfinata libertà di internet degenerata popperianamente in licenza, in anarchia di massa, ove la discussione cede il posto all’urlo ed all’insulto (ed al reato), esercitabile a km 0?

Ma internet non è terra di nessuno; è vero che la sua anima è anarchica, ma ciò non significa assenza di norme!

L’evoluzione tecnologica impressionante che ha tempi decisamente più accelerati di quelli del diritto fa sì che l’antigiuridicità dei comportamenti virtuali non venga avvertita in modo sufficiente; un esempio per tutti: il fenomeno del peer-to-peer è noto, c.d. file sharing, e non è stato percepito per lunghissimo tempo come illegale dagli utenti della rete in quanto paragonato al “prestito” nel mondo reale.

cause-cyberbullismoCiò che preoccupa i docenti non è però il file-sharing, né le violazioni dei diritti morali e/o patrimoniali degli autori di e-contents che i minori, sottraendosi fraudolentemente alla vigilanza del docente, possono commettere durante l’orario scolastico; lo spauracchio si chiama You-tube, Facebook, Whatsapp, community virtuali, chat e quant’altro nel prossimo futuro consentirà la diffusione fuori controllo di user generated content. Se si compie una semplice ricerca su Google, vi è ancora ampia testimonianza dell’episodio di Torino del 2006, di un minore affetto da autismo, ripreso in classe in un particolare momento, il cui video integrale fu caricato on line e vi rimase per mesi, prima di essere rimosso per ordine del Giudice. Non occuparsi dell’educazione ai nuovi media, non considerarla un diritto significa causare un danno ai minori di oggi e agli adulti di domani.

Strepitoso esperimento dell’adescamento di minori on line effettuato da Terre des hommes mediante la creazione di Sweetie, la bambina virtuale (http://terredeshommes.it/comunicati/il-mio-nome-esweetie-nuovo-report-di-terre-des-hommes-sulla-pedopornografia-online/).

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Il web, nella sua straordinaria potenza, può essere il luogo/mezzo privilegiato per la commissione di fattispecie ascrivibili alla violazione di norme penali: le nuove frontiere si chiamano sexting (diffusione arbitraria di parole/immagini/foto/video a sfondo sessuale), grooming (instaurazione di un rapporto via web di un adulto con un minore con scopi a sfondo sessuale – oggi reato di adescamento telematico); flaming (accendere una discussione sul web a danno di terzi) diffusione di dati personali per scambio di identità (altra fattispecie già reato); utilizzo improprio di alias, nickname, avatar; meccanismi psicopatologici di dipendenza da internet (c.d. addiction); gioco d’azzardo; prelevamenti da carte prepagate di importi superiori a quelli che appaiono sul monitor; diffusione di falsità, dicerie non più governabili dall’autore dopo la pubblicazione; contenuti digitali pericolosi ed inappropriati che istigano al suicidio, xenofobia, razzismo, discriminazioni, reati in genere ovvero che dispensano pericolosi consigli alimentari, cyber-bullismo e cyber-stalking che comportino danno ingiusto; soprattutto le ultime due ipotesi sono molto più devastanti delle omologhe nella vita reale, in quanto il cyber-bullo/stalker può molestare la vittima anche mentre questa è in luogo potenzialmente sicuro, come la scuola, la casa ed inoltre, l’impossibilità di cancellare definitivamente i contenuti digitali dannosi unitamente alla velocità di diffusione, aggravano maggiormente il fenomeno.

Il minore, come già esposto, può non solo essere soggetto passivo del reato, ma anche soggetto attivo. Ogni atto illecito doloso o colposo che cagioni un danno ingiusto, dà luogo a responsabilità civile extracontrattuale, ex art. 2043 del codice civile, cui consegue il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Se il cyber-bullo minorenne non emancipato commette tali atti quando non è affidato alla scuola, la responsabilità, e il risarcimento, sarà in via solidale dei genitori nei confronti della vittima, ex art. 2048 c.c. (Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte), primo comma, a meno che non “provino di non aver potuto impedire il fatto” – terzo comma; sul versante processuale la prova deve essere fornita in positivo, ossia aver adottato ogni tipo di precauzione imposta dagli obblighi che gli competono, ex art. 30 Cost. ed art. 147 c.c..

E questo per giurisprudenza e dottrina prevalenti: vedi ultima Corte di Cassazione – Sez. III – sent. 18 novembre 2014, n. 24475, di accoglimento dell’appello che ha condannato i genitori di un minore al pagamento della somma di € 278.042,32, oltre accessori; secondo la Corte

omissisva ribadito il principio (Cass., n. 20322 del 20 ottobre 2005) secondo cui in relazione all’interpretazione della disciplina prevista nell’art. 2048 cod. civ., è necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria per superare la presunzione di colpa dalla suddetta norma desumibile, offrano non la prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata; il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere e all’indole del minore. L’inadeguatezza dell’educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore, fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito, che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell’art. 147 cod. civ…omissis”.

tutela bullismo apidgeNel tempo di affidamento alla scuola, la responsabilità solidale ricade sulla persona fisica che ha in consegna il minore; pertanto la scuola dell’autonomia, ferme restando le considerazioni che attengono al curriculo implicito, deve regolamentare, evidentemente in modo diverso dalle ipotesi esposte, e prevedere ogni tipo di situazione, preferibilmente in modo condiviso da tutte le componenti scolastiche: compresenza, autogestione, assenza temporanea dei docenti, uscite didattiche a vario titolo, giornate di open day, assemblee studentesche, incontri pomeridiani per attività extracurriculari, colloqui con le famiglie, presenza dei minori dei locali di segreteria, nei cortili ovvero altri locali non destinati ad attività didattiche, etc. Visto che la norma è la stessa (2048 c.c.), se il fatto illecito avviene durante il temposcuola, analogamente sul piano processuale, quindi nel giudizio risarcitorio, vi è tale presunzione juris tantum (relativa) e il soggetto è liberato dalla responsabilità per culpa in vigilando solo se riesca a fornire al Giudice la prova di aver adottato tutte quelle precauzioni che, in relazione alle circostanze, apparivano idonee ad evitare il danno ed aver adempiuto ai propri doveri connessi alla funzione svolta. Sarà lo stesso Giudice a valutare, caso per caso, se la culpa in vigilando concorra solidalmente con la culpa in educando (Tribunale di Bologna – Sez. III – Sent. 3 luglio 2013 n. 20827) ovvero possa addirittura prenderne il posto.

“Se non si effettua un cambio di paradigma, tempo pochi mesi, saranno dati in pasto ai media episodi di information warfare ovvero defacement sui registri elettronici; allora cadrà a pioggia sui docenti un’altra mole di direttive, circolari, raccomandazioni, statuti, bozze in autoconsultazione e, molto probabilmente saranno inaspriti ulteriormente i regolamenti d’istituto, forse sarà inserita a cascata all’ordine del giorno dei collegi docenti e consigli d’istituto la proposta di eliminare il wifi nella scuola ovvero sarà aggiunta in calce al Patto di corresponsabilità qualche clausola aggiuntiva da far firmare ad i genitori, verranno installati dei rilevatori sull’uscio della scuola, pensate soluzioni di sicurezza multilivello, sarà stilata una carta dei possibili attacchi e contromisure fino ad un firewall proprio per l’alunno…”

Paradossi a parte, il cambio di paradigma che si auspica è considerare l’accesso ad internet ed il suo uso consapevole ed attivo un diritto fondamentale della persona, e la scuola ne è necessariamente coinvolta prima della famiglia; l’educazione alla cittadinanza digitale è una partizione dell’educazione alla cittadinanza. La denegazione non può essere l’unica strategia pensata dall’autonomia scolastica; addirittura l’Osservatorio sui Diritti dei Minori, da qualche giorno, ha formulato esplicita richiesta al Ministro Giannini di emanare un regolamento per i rapporti docenti-studenti.

Un cambio di rotta che lascia ben sperare, con riferimento alle iniziative istituzionali, si rinviene nell’art. 13 – DIRITTO ALL’EDUCAZIONE – della Bozza della Dichiarazione dei diritti in internet, attualmente – gennaio 2015 – in consultazione alla Camera dei deputati, testualmente recita:

“Ogni persona ha diritto di acquisire le capacità necessarie per utilizzare Internet in modo consapevole e attivo. La dimensione culturale ed educativa di Internet costituisce infatti elemento essenziale per garantire l’effettività del diritto di accesso e della tutela delle persone.Le istituzioni pubbliche promuovono attività educative rivolte alle persone, al sistema scolastico e alle imprese, con specifico riferimento alla dimensione intergenerazionale. Il diritto all’uso consapevole di Internet è fondamentale perché possano essere concretamente garantiti lo sviluppo di uguali possibilità di crescita individuale e collettiva; il riequilibrio democratico delle differenze di potere sulla Rete tra attori economici, Istituzioni e cittadini; la prevenzione delle discriminazioni e dei comportamenti a rischio e di quelli lesivi delle libertà altrui”.

Quando si tratta di introdurre nuove schiere di diritti e nuove sensibilità i percorsi non sono facili; l’evoluzione culturale non può partire dai ministeri e la tutela di un diritto non può avere come prezzo la demolizione di un altro diritto.

tutela bullismo apidgeGli alunni in generale, ma l’attenzione è specialmente ai minori e ancora di più a quelli “a chilometro 0” necessitano di un progetto culturale che assume la portata di una sfida, considerato il ritardo con la quale si affronta e la scuola è si una pubblica amministrazione, ma molto particolare; comporre contrapposti interessi, come il dovere di vigilanza e la tutela della privacy, affidandosi al burocratese dei palazzi che blinda le scuole dal web viola la persona e la personalità di studenti e docenti e la libertà di insegnamento costituzionalmente protetta. La nostra Carta Costituzionale conferisce al docente due libertà fondamentali che non possono essere intaccate: la libertà della cultura e della ricerca scientifica e tecnica – art. 9; la libertà di insegnamento – art. 33. La libertà della cultura ha la sua fonte nel dovere dello Stato di promuoverla e si atteggia a libertà professionale tipica destinata alla più intellettuale delle professioni, che è quella dell’insegnamento: è peculiarità della funzione docente ed è diversa dal diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, diritto riconosciuto a tutti dall’art. 21. La “curvatura sociale” della libertà dell’insegnamento e nell’insegnamento consente di operare tale distinzione tra esse e gli altri diritti di libertà, nel senso che, l’esercizio di quanto è nell’art. 9 e 33 soddisfa immediatamente un interesse sociale. La libertà di insegnamento presuppone anche la libertà del docente di utilizzare metodi e criteri svincolati didatticamente da intromissioni altrui o da condizionamenti imposti da circolari ovvero da qualsivoglia autorità; libertà di insegnamento è confronto aperto di posizioni culturali a vantaggio del docente e dei discenti. La libertà metodologica consente un confronto aperto in stretto adempimento con il compito assegnato alla scuola, di consentire il pieno sviluppo della personalità degli alunni.

Con l’introduzione nella didattica delle nuove tecnologie, essendo queste una modalità di insegnamento non ne può essere proibito l’utilizzo da parte ministeriale, da organi collegiali, dal dirigente. Se il docente ha la possibilità, con i dispositivi digitali, di effettuare una lezione a km 0, attingendo ad una pluralità di risorse che una volta erano dislocate a tutte le latitudini, e ne viene privato, risulta leso nella libertà di insegnamento, in tale duplice accezione. Il baricentro del problema va spostato dall’aula agli assetti organizzativi; non è questa la sede per un’analisi strettamente giuridica delle disfunzioni organizzative nelle pubbliche amministrazioni – e nella scuola – ma istintivamente mi ritorna alla mente un aforisma di Antonio Gramsci, or ora recuperato dal web, secondo cui la cultura è organizzazione!

di Eliana Flores

Scarica i documenti: 

1) Utilizzo dei telefoni cellulari 30 novembre 2007

2) Childrens_2014_Report

3) Statuto Studenti con modifiche DPR 249-98 235-07

4) Circolare esplicativa statuto studenti

5) codice_cyberbullismo_8 gennaio_2013

6) dichiarazione_dei_diritti_internet_pubblicata